Per riflettere sul tema delle regole, partiamo da qualche passo di un’intervista al pedagogista Daniele Novara pubblicata qui. L’autore offre spunti interessanti, che sottolineo nel testo e riprendo successivamente.
Il problema dell’educazione morbida dei nostri giorni non sta nell’aumentare i conflitti, ma nel non essere “educazione”. È prendersi cura; è soddisfare tutti i bisogni, anche quelli non ancora espressi; è servizievolezza; è un cercare di inseguire un ideale di felicità e armonia familiare che non c’è mai stato e non può darsi e che quindi risulta frustrante. Il compito dei genitori è invece fare diventare i figli autonomi, capaci di stare al mondo, di relazionarsi con gli altri. E in questo compito il conflitto è un elemento inevitabile, che bisogna imparare a gestire bene.
La sua proposta è quella di trasformarsi da genitore emotivo a genitore educativo. Quali sono le differenze tra queste due tipologie?
Il genitore emotivo agisce spontaneamente sulla base del momento, cerca la complicità, convinto che i figli basti amarli e il resto viene da sé. Il bambino di 5 anni piange tutte le sere disperato perché vuole dormire nel lettone e i genitori in preda all’ansia e alla stanchezza acconsentono. Da un lato non ce la fanno più, e questo può scatenare il peggio: urla, litigi tra mamma e papà, anche sculacciate. Dall’altro non riescono a superare l’ansia e il timore che il proprio bambino soffra davvero per qualcosa, stia male, si senta solo o abbandonato. Il genitore educativo invece sa che, dopo i 3, 4 anni, ai bambini va “proibito” l’accesso al lettone: è uno spazio di mamma e papà, il talamo coniugale. Non farli dormire nel lettone, non significa non amarli, ma riconoscere che tra genitori e figli c’è una distanza, e che questa è garanzia di serenità, dà sicurezza ai bambini. Quindi si organizza: stabilisce un’ora per andare a letto, un rito prima della nanna, una modalità di agire in caso di crisi. È in grado di individuare insieme al partner quelle mosse giuste che rassicurano il bambino e gli consentono di crescere.
Come si fa a diventare un genitore educativo?
Ci si fa delle domande. Si osserva quello che accade e si cerca di individuare, insieme all’altro genitore quando questo è possibile, qual è l’effettivo bisogno del proprio figlio e della propria figlia e la strategia da utilizzare. Le chiavi di volta sono l’organizzazione e la coesione: rendersi conto che per aiutare i nostri figli a diventare grandi, in questi tempi così complessi e veloci, non è possibile affidarsi al caso o all’emozione del momento, e che occorre procedere insieme: quali sono le regole che diamo in famiglia? Nostro figlio, nostra figlia, le ha chiare? Come possiamo aiutarlo a superare questa paura? Come possiamo sostenere il suo desiderio di autonomia senza esporlo a situazioni che non sarebbe in grado si gestire da solo? Cosa è importante per lui alla sua età? Cosa lo può aiutare a crescere? È inutile scandalizzarsi e invocare i bei tempi andati di fronte alle reazioni oppositive, ai capricci, alle bugie, alla bulimia di desideri e emozioni, ai comportamenti sbagliati. I bambini e i ragazzi fanno il loro lavoro: diventano grandi. Il compito dei genitori è aiutarli e accompagnarli in questo percorso.
E il padre?
La vera crisi educativa dei nostri giorni è una crisi del ruolo paterno. Quando parlo di paterno educativo intendo un insieme di comportamenti che non sono necessariamente legati alla figura del padre. Il ruolo paterno esprime la giusta distanza dai figli, le regole necessarie e chiare, lo slancio vitale, l’assunzione del rischio e del coraggio come elementi fondamentali per crescere: è imprescindibile, ma nei casi in cui il padre sia proprio assente il suo ruolo può essere assunto anche da figure femminili. Non sento la nostalgia di un paterno tutto d’un pezzo, severo, indiscutibile, spesso comunque assente. Però occorre un padre che faccia da sponda, normativo ma allo stesso tempo vitale. Un modello, necessariamente imperfetto, di come si può affrontare l’incertezza, il rischio, le difficoltà dell’esistenza con coraggio, esprimendo tutte le proprie potenzialità e risorse. È una nuova figura di padre, forse ancora inedita, ma su cui si giocano molte delle sfide educative dei nostri giorni.
Come si gestisce al meglio un conflitto quando sono bimbi?
Con le consuetudini, con le regole, la ritualità, la coesione. È inutile discutere, cercare di spiegare, argomentare, provare a convincere. Bastano piuttosto alcuni messaggi precisi, chiari, adeguati all’età psicoevolutiva del bambino che ci troviamo di fronte. È insensato pensare che se spiego tante volte a un bambino di 2 anni che non deve guardare troppa Tv prima o poi lo capirà e smetterà di fare i capricci. È meglio una regola precisa, sostenibile e definita da entrambi i genitori. Come è sbagliato coinvolgere i bambini più grandi in decisioni familiari che competono all’adulto, magari nella speranza di evitare così capricci e sceneggiate: in realtà spesso quello che si ottiene è insicurezza, ansia e quindi l’effetto opposto.
E se il bambino è un tiranno?
Occorre evitare tutti quei comportamenti come il sostituirsi al bambino, alla bambina, anche quando possono fare da soli; oppure la continua assistenza nel tentativo di prevenire tutte le possibili fatiche o difficoltà ai nostri figli. Mi hanno raccontato di un bambino così abituato a essere seguito in tutto dai genitori che, quando alla scuola dell’infanzia le maestre gli hanno detto: “Adesso vai a lavarti le mani”, si è rifiutato e non ha più fatto niente per tutto il giorno. Se i genitori si pongono in una posizione di insicurezza e debolezza, i bambini finiscono inevitabilmente per assumere il comando della situazione. Ma a loro questo ruolo non piace, è molto faticoso e produce sofferenza. Bisogna ristabilire il giusto equilibrio, e mamma e papà devono recuperare il loro ruolo educativo.
Quando finisce la pazienza, spesso può scappare uno schiaffo. Secondo l’ultimo rapporto redatto da Ipsos per Save the Children dal titolo “I metodi educativi e il ricorso a punizioni fisiche”, più di un quarto dei genitori italiani lo utilizza ancora.
Le punizioni, la coercizione, le urla, i metodi educativi violenti e non solo fisici, sono il retaggio del passato con cui inevitabilmente dobbiamo fare i conti. Appartengono spesso alla nostra storia educativa e la maggior parte dei genitori ormai non li ritiene efficaci, salvo poi metterli in atto sotto l’effetto dell’emotività o della stanchezza. Non so più cosa fare? Ecco che si attivano in me, quasi involontariamente, comportamenti legati spesso alla mia infanzia, all’educazione che ho ricevuto. I genitori devono imparare a prendere tempo. È meglio dare un taglio alla situazione (“Ne parliamo dopo, ora sono troppo arrabbiato. Ne parlo con tuo padre poi vedremo”), che lasciarsi trascinare in un crescendo emotivo da cui poi, facilmente, nessuno ne uscirà bene.>>
L’articolo introduce un tema fondamentale. Nonostante l’aspetto delle regole, i limiti, e la loro applicazione sia uno dei più faticosi nel crescere un bambino, è questo ciò che contribuisce principalmente a rendere un bambino sicuro di sé e con una buona capacità di autoregolazione.
Il significato delle regole per i bambini
Succede che, in mancanza di un contenitore esterno, rappresentato dai genitori, i cui confini siano solidi e chiari, un bambino debba trovare e stabilire questi limiti dentro di sé, senza esserne in grado. Il bambino rischia di trovarsi sovrastato e iperstimolato dalle sue sensazioni ed emozioni non regolate e non contenute attraverso una struttura fissa.
La percezione di poter superare o stravolgere le regole stabilite dal genitore e di avere uguale potere in questo rispetto a lui, priva il bambino della necessaria sicurezza nel fatto che:
- ci sia un adulto che sa più di lui, in particolare sa cosa è bene per lui
- ci sia un adulto che è più forte di lui e quindi può proteggerlo
- non sia compito suo regolare sé stesso, le proprie emozioni e quindi le proprie paure, ma dell’adulto, che può contenerle e aiutarlo ad elaborarle
Ovviamente ciò che fa il bambino è provare a forzarlo, questo limite. Ma solo per essere rassicurato sul fatto che non è possibile farlo, perché il limite, la regola resiste, e lo protegge.
E’ molto faticoso far fronte a quella che a volte sembra una continua e sfibrante lotta, ma è necessario per un genitore trovare dentro di sé, se possibile con l’aiuto del compagno, la fermezza e la serenità nello stabilire cosa è meglio per il bambino, per non mettere con lui in discussione quelle linee educative, le regole principali, che ritiene importanti. Sul resto, si può mediare e alleggerire.
Quando la fatica nel gestire questo aspetto nella relazione con il bambino è troppa, ci si può rivolgere ad un professionista che sia di supporto nel capire cosa si è inceppato e quale può essere il modo migliore per trovare una nuova comunicazione e sintonia tra i genitori e il bambino nel rispetto dei bisogni di entrambi.
Qui i miei contatti per informazioni o per un appuntamento nel mio studio a Milano.
*Su questo argomento leggi anche il mio articolo CRESCERE I NOSTRI BAMBINI TRA LIMITI E SPERIMENTAZIONE – DOMANDE E RISPOSTE per il sito Diventaremamma.com.*